Chi ci separerà

Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo o la spada? (Romani 8:25)

 

 

La certezza della nostra sicurezza in Dio si estende anche alle circostanze più umili e dolorose. Chi è convinto della bontà divina nei propri confronti può rimanere saldo anche nelle afflizioni più pesanti. Queste, infatti, turbano profondamente gli uomini per diversi motivi: perché le considerano segni dell’ira di Dio, temono di essere stati abbandonati, non vedono una via d’uscita, trascurano la meditazione sulla vita eterna, o per altre ragioni simili. Ma quando la mente è purificata da tali errori, trova pace e riposo.

Il significato profondo delle parole di Paolo è che, qualunque cosa accada, dobbiamo rimanere saldi nella fede che Dio, avendoci una volta abbracciati nel Suo amore, non cesserà mai di prendersi cura di noi. Paolo non si limita a dire che nulla può strappare Dio dal Suo amore per noi, ma afferma che la consapevolezza viva di quell’amore è così radicata nei nostri cuori da risplendere anche nell’oscurità delle afflizioni.

Come le nuvole possono oscurare la luce del sole senza privarcene del tutto, così Dio, anche nelle avversità, fa filtrare i raggi del Suo favore affinché non siamo sopraffatti dalla disperazione. La nostra fede, sostenuta dalle promesse divine come da ali, si innalza verso il cielo superando ogni ostacolo.

È vero che, considerate in sé stesse, le avversità sono segni dell’ira di Dio. Ma quando il perdono e la riconciliazione le precedono, possiamo essere certi che, anche nel castigo, Dio non dimentica mai la Sua misericordia. Egli ci ricorda ciò che abbiamo meritato, ma non smette di testimoniare che la nostra salvezza è oggetto della Sua cura, conducendoci al ravvedimento.

Paolo parla dell’“amore di Cristo” perché è in Cristo che il Padre ha manifestato la Sua compassione verso di noi. L’amore di Dio non va cercato altrove: è in Cristo che lo contempliamo. Perciò Paolo ci invita a fissare lo sguardo su di Lui, affinché nei raggi del Suo favore possiamo scorgere il volto sereno del Padre.

Il senso è questo: in nessuna avversità la nostra fiducia deve vacillare riguardo a questa verità fondamentale—quando Dio ci è favorevole, nulla può essere contro di noi.

 

Alcuni interpretano questo amore in senso passivo, come se Paolo si riferisse al nostro amore per Cristo, e ci stesse armando di coraggio invincibile. Ma questa lettura è facilmente confutabile, sia dal contesto che dal ragionamento di Paolo, che presto chiarirà ulteriormente cosa intende per “amore”.

 

Tribolazione, angoscia, persecuzione…Il pronome maschile “chi” usato da Paolo all’inizio del versetto è significativo. Avrebbe potuto usare il neutro “che cosa”, ma ha preferito attribuire personalità alle prove, come se volesse inviarle con noi nella battaglia, ciascuna come un campione che mette alla prova la nostra fede. Le tre afflizioni menzionate hanno sfumature diverse:

Tribolazione: include ogni tipo di difficoltà o male.

Angoscia: è il tormento interiore che nasce quando le difficoltà ci mettono alle strette e non vediamo via d’uscita. È lo stato d’animo di Abramo e Lot, quando uno fu costretto a esporre sua moglie al pericolo della prostituzione e l’altro le sue figlie—situazioni estreme, senza scampo.

Persecuzione: indica la violenza tirannica con cui i figli di Dio sono stati ingiustamente oppressi.

 

 

In 2 Corinzi 4:8, Paolo afferma che i figli di Dio non sono “ridotti all’angoscia” (*stenochōreisthai*), ma non si contraddice. Non intende dire che siano esenti dall’ansia, bensì che ne sono liberati. Gli esempi di Abramo e Lot lo confermano: pur trovandosi in estrema difficoltà, Dio li ha soccorsi.

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